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Test prenatali: ecco quali fare e quando farli

Sino a non molti decenni fa quanto succedeva all’interno della pancia di una mamma era e restava un’incognita e i test prenatali qualcosa di fantascientifico. Un velo di mistero copriva quanto accadeva, non consentendo uno sguardo capace di predire possibili complicanze o avere conferme d’una sana gravidanza. A sparigliare il mazzo sono state le ecografie e quegli esami che hanno consentito di dare uno ‘sguardo’ a quanto accade nel mondo uterino. Ciò facendo si è aperto il il campo a tutta una serie di preziosissime risposte.

Perché se la maggioranza dei bambini nascerà sana ci sono eccezioni per le quali si necessita di esami approfonditi, sperando di sanare eventuali complicanze.

Test prenatali: quanti e quali sono

Con l’età cresce il rischio di partorire un bambino con difetti nel corredo genetico. Non un caso che dai 35 anni si ha il diritto a sottoporsi a test prenatali. Ogni test, nonostante la probabilità che il bimbo sarà sano prevale sempre, reca una parentesi di ansie che viene spazzata via solo all’arrivo dei risultati. Uno stato di inquietudine che vale comunque la pena di correre, visti i benefici dei controlli.

Translucenza Nucale

Tra i test prenatali più diffusi va annoverata la Translucenza Nucale. E’ un metodo ecografico non invasivo, col quale uno specialista misura lo spessore della piega della cute nella regione posteriore al collo del bimbo. Lo si fa andando a rapportarsi poi con tutta una serie di parametri in grado di stabilire la presenza di eventuali anomalie. Il periodo nel quale va effettuata la Translucenza Nucale per poterne massimizzare gli effetti va dall’11^ alla 13^ settimana.

Tritest

Spesso la Translucenza Nucale viene anche incrociata coi risultati scaturiti dal Tritest, che dà sicuramente meno certezze, basandosi soltanto su probabilità. Il Tritest dà la percentuale di rischio di avere un bimbo affetto da Sindrome di Down e da spina bifida. Vi si arriva facilmente, con un semplice prelievo di sangue dalla madre. Se dai risultati risulterà un grado di rischio superiore a 1 a 250 sarà consigliata un’amniocentesi o, in alternativa, un’ecografia morfologica.

Villocentesi

La Villocentesi viene eseguita tra la 10^ e 14^ settimana (più frequentemente tra l’11^ e la 13^). Tale esame riesce a rilevare con esattezza la presenza di un’anormalità cromosomica o se il bambino è affetto o meno da Sindrome di Down. L’esamen consiste nell’aspirazione di una piccola quantità di tessuto coriale (10-15 mg).  L’esame viene effettuato per via addominale o, più raramente, per via vaginale. Nel primo caso il medico inserisce l’ago nella placenta sorvegliando che tutto avvenga per il meglio mediante un’ecografia di supporto. Lo scopo è quello di prelevare con una siringa alcune cellule che verranno poi analizzate in laboratorio.

Amniocentesi

L’Amniocentesi si esegue dalla 16^ settimana, in quanto solo allora c’è liquido amniotico a sufficienza per farla. Per farla si parte da un’ecografia per individuare il punto in cui inserire un ago nell’utero attraverso la parete addominale. In quel momento vengono prelevati 15-20 millilitri di liquido, all’incirca un ottavo della totalità. Una volta eseguita viene consigliato un riposo assoluto di almeno 48-72 ore. Non mancano le complicanze, ma sono piuttosto rare: 3 donne su 1000, tuttavia, finiscono per abortire a seguito dell’amniocentesi. Il rischio, difatti, è che la membrana continui a perdere liquido e non si chiuda. Dal liquido amniotico viene analizzata una proteina, l’alfa fetoproteina, che se è troppo alta potrebbe essere il segno di un’apertura nella c

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